mercoledì 7 novembre 2012

Burn, baby, burn!


Agli inizi del Novecento l'armatore americano John Pierpont Morgan, con la sua società International Mercantile Marine Co., cominciò a finanziare la costruzione di uno dei più maestosi e tristemente famosi transatlantici di sempre: il Titanic. O Taitanic, per i puristi anglofoni.
L'idea era quella di realizzare un mezzo che potesse competere con il Lusitania e il Mauretania, i più lussuosi e prestanti transatlantici dell'epoca. Il Titanic avrebbe così rappresentato la più importante manifestazione del potere umano sulla natura e di alcuni uomini su altri uomini.



In seguito alla Rivoluzione industriale e alla scoperta della potenza del vapore, il mondo non fu più lo stesso: ora era possibile spostare grandi masse, drenare le miniere di carbone dall’acqua, realizzare i motori che avrebbero portato in seguito all'invenzione dell'automobile.
Infine, divenne possibile riscaldare le Albavillette.
Proprio così signori, riscaldare le albavillette.
"Peeeellet!Peeeellet! Ci serve altro pellet! Forza scansafatiche!"
Avete capito bene. Perché fino ai primi di ottobre la nostra cara casina non possedeva ancora un mezzo riscaldante, motivo per cui la vita s’era fatta fin troppo difficile.
"Coza cientra tuta questa storja del Taitanic?"
Direte voi, con quel fare barbino alla Dan Peterson che tanto vi piace.
Probabilmente nulla.
O forse tutto.
Fatto sta che mentre il cantiere navale proseguiva la costruzione dell’imponente transatlantico, tra una rivetta e l’altra una piccola fabbrica italiana, chiamata Eva Calòr, cominciò la sua avventurosa avventura nel mondo delle stufe a pellet.

Proprio così signori, stufe a pellet.
"Peeeellet!Peeeellet!"
I più assidui lettori ricorderanno come l'idea della caldaia a gas fosse stata abbandonata sia per una questione economica, sia per il mio trasferimento a Bologna, fatto che avrebbe reso insensato un investimento elevato sapendo che ci saremmo goduti la casa solo un paio di giorni nel weekend.
Tenendo conto che l'Albavilletta non si misura in metri quadri, ma in pollici, Abbiamo così optato per  la più modesta delle stufe a pellet che siamo riusciti a trovare.
Eccola qui:


Anita è il suo nome.
Una mangia-pellet da 6 kW nominali, possibilità di installazione sia con scarico superiore che posteriore, tubo di uscita fumi di diametro 80 mm e vetro temprato anteriore. Estetica rossa fiammeggiante, rifiniture in antracite e piedini regolabili. 90 cm di pura infernale malvagità e capienza totale di 13, dico, 13 kg di pellet. Garanzia ITALIANA originale del produttore 24 mesi, ai sensi DL 24/02.
Tradotto con uno slogan alla Steve Jobs:
"In mutande anche d'inverno"

L'unico inconveniente è che pesa. Pesa parecchio la dannata.
Ci voglio altre due braccia forti e pelose. Pelose e solitarie (così siamo certi siano disponibili!)
Solo una persona presenta i requisiti.
Babbu.


Lo passo a prendere a casa, salvandolo da un pomeriggio di rinite allergica passato a zappare l'erba.
Lo installo sul sedile posteriore mentre due forzuti addetti del Brico Center caricano nel bagagliaio la nostra panciuta Anita.
Arrivati in quel d'Albavilla, sfondiamo il portone di legno della corte con l'auto e parcheggiamo perfettamente con una derapata sui sassi arsi dal Sole. Sarà l'influenza di Anita, ma l'atmosfera si sta facendo rovente.
Indossati i guanti e fatto il necessario riscaldamento per i muscoli lombari, Babbu e io trasciniamo la stufa su per le scale fin dentro l'Albavilletta, con meno fatica di quanto ci saremmo aspettati.
Anita viene prontamente spogliata della veste di cartone che la ricopriva, dal momento che non le metteva per niente in risalto i fianchi.
Ed eccola lì: nuda, rovente, pronta a riscaldare i nostri freddi e flaccidi corpi con il calore della sua anima.
La posizioniamo e bon.


Passa l'estate. Gli anticicloni lasciano spazio alle fresche brezze autunnali. Ma come ogni anno il passaggio di stagione non è graduale, ma repentino.
"Dobbiamo tubare Anita e chiamare il collaudatore prima che giunga l'inverno!" esclama Erica con un brrrrivido.
"Oibò!" dice Mauro.

E fu così che Mastro Geppetto si fiondò prontamente su una scala che sicuramente aveva visto tempi migliori, imprecando, bucando, tassellando, cadendo, avvitando, appendendo e completando finalmente l'installazione dei tubi di scarico.

Chiamato il collaudatore, per la modica cifra di 70€ questo fu l'effetto finale:


Proprio così signori:
Burn, baby, burn!